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Padre Pio, come un agnello immolato

Il decennio oscuro della vita di Padre Pio

Tra i periodi più bui della vita di San Pio da Pietrelcina,  c’è quello del prodigio delle stimmate, avvenuto il 20 settembre 1918. C’erano stati prima alcuni fatti straordinari di natura mistica, non avvertiti dalla gente, ma la stigmatizzazione non passò inosservata; cominciò a crescere l’interesse della gente, con l’inizio di quell’afflusso di pellegrini intorno al povero convento dei frati cappuccini. Nei mesi successivi vi fu un viavai di medici e professori, recatisi ad esaminare il fenomeno, con intervento di prelati e di scienziati, saliti a San Giovanni Rotondo in compagnia di superiori cappuccini o inviati dalla Santa sede.

A metà maggio del 1919 arrivò il ministro provinciale, padre Benedetto, col primario di Barletta, il dott. Romanelli; due mesi dopo un celebre ordinario di patologia dell’università di di Roma,  il prof. Bignami; poi nuovamente Romanelli con il dr. Festa ad altri ancora. Da Roma giunse un prelato vaticano, Bonaventura Cerretti, il procuratore generale dei passionisti, insieme a un celebre medico romano, il professor Bastianelli e finanche il prefetto della Segnatura Apostolica il cardinal Augusto Sili.

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Fu l’inizio del decennio oscuro, avviato dalla decisione del san’Uffizio del 2 giugno 1922, in cui gli si proibì tutto, tranne la celebrazione della messa mattutina, summo manae ed in privato. La storia di questo decennio è oscura e complessa, ma viene vissuta con serena obbedienza da padre Pio, contento che gli è stato proibito tutto, tranne la messa, e quando il 16 luglio 1933, festa della Madonna del Carmine, può riprendere la celebrazione in pubblico, la sua vita non riceve alcuna scossa, perché mai gli era  mancata la celebrazione eucaristica quotidiana, l’adorazione, la preghiera nella cappellina del convento.

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San Pio, ha seguito Cristo umile, obbediente, povero e casto, non lo ha seguito  soprattutto sulla Croce. Da giovane, ancor prima ricevere le stimmate, sentiva  che la sua vita doveva essere imitazione di Cristo. Come Francesco d’Assisi anche lui sentiva il dovere di incrociare le sue braccia con le braccia di Cristo e considerava la vita del sacerdote  un cammino con Cristo. Infatti la sua preghiera per i sacerdoti era costante e sempre da lui raccomandata. Ne è testimonianza la lunga serie di lettere ai sacerdoti, inclusa il IV volume del suo Epistolario, la cui lettura risulta quanto mai edificante per capire difficoltà e aspirazioni dei presbiteri, ma anche per lo spirito sacerdotale del frate del Gargano. Non si spiegherebbe diversamente l’afflusso costante dei sacerdoti, che andavano da lui a confessarsi o a chiedere consiglio.

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