Nel novembre del 1912, Padre Pio raccontò a Padre Agostino di una discussione che ebbe con il suo Angelo Custode. Una lettera che esprime un rapporto bellissimo tra il cappuccino di Pietrelcina il suo “angiolino”.
“Sabato mi sembrò che mi volessero proprio finire, non sapevo più a qual santo votarmi; mi rivolgo al mio angelo e dopo d’essersi fatto
aspettare per un pezzo eccolo infine aleggiarmi intorno e con la sua angelica voce cantava inni alla divina maestà.
Successe una di quelle solite scenate; lo sgridai aspramente d’essersi fatto così lungamente aspettare, mentre io non avevo mancato di chiamarlo in mio soccorso; per castigarlo non volevo guardarlo in viso, volevo allontanarmi, volevo sfuggirlo; ma egli poverino mi raggiunge quasi piangendo, mi acciuffa, finché sollevato lo sguardo, lo fissai in volto e lo trovai tutto spiacente. Ed ecco…

Tu lo vorresti proprio questo dono da lui, ma non ti affaticare… tu devi aspettare un altro poco. Egli per adesso nulla può darti come il raggio d’una stella, il profumo d’un fiore, il gemito d’un’arpa, le carezze del vento. Tu non cessare però d’incessantemente domandarglielo, poiché la sua suprema letizia è di averti con sé. E sebbene egli al presente non può accontentarti, perché la provvidenza vuole che si stia in esilio per un altro po’, egli finalmente finirà coll’accontentarti almeno in parte…”.
Povero angiolino! Egli è troppo buono. Ci riuscirà a farmi conoscere il grave dovere della gratitudine?
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