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Padre Pio e il presepe in famiglia

Padre Pio desidera che il Natale consiste principalmente nell'essere in amicizia con Dio.

San Pio da Pietrelcina voleva che ogni Famiglia Cristiana, a Natale, si fermasse a contemplare Il mistero della Natività davanti al presepe.

La festa del Santo Natale – afferma Padre Pio –  non deve consistere, per un vero cristiano, nel “piacere sensuale”.  E’ pur vero che i sensi rispondono a tendenze istintive. Gli occhi vogliono vedere, le orecchie vogliono sentire, le mani vogliono toccare, il palato vuole gustare. Il  cristiano, però deve porre una disciplina a queste attrattive con spirito di sacrificio, facendo prevalere sugli altri, i valori trascendenti. Deve, insomma, avere una padronanza, un dominio di sé, ed essere capace di regolare, dosare la frustrazione dei legittimi piaceri. Il Santo di Pietrelcina desidera che il Natale consiste principalmente nell’essere in amicizia con Dio. Ciò potrà avvenire con l’adesione perfetta alla divina volontà: “Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando (Gv 15.14).

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Di qui l’esortazione di Padre Pio a celebrare l’alto mistero della nascita di Gesù “con una sincera contrizione” per tutte le colpe commesse in violazione dei suoi comandamenti. Questo stato d’animo provoca un intimo, profondo dolore per l’offesa fatta Dio, il fermo proposito di non peccare più per l’avvenire e l’esigenza di sperimentare la divina misericordia del Sacramento della Penitenza. Il Signore è sempre pronto al perdono, ma vuole che la riconciliazione venga invocata e associata alla promessa di una sincera conversione.

Infine San Pio suggerisce una comunione “fervidissima“. L’incorporazione a Cristo deve avvenire con superlativo ardore, con slancio, con desiderio nato da una spinta interiore, con una grande intensità di partecipazione. Egli vuole che tutti i suoi devoti, nel ricevere la Santa Eucarestia, provino ciò che lui avvertiva quotidianamente durante il santo sacrificio dell’altare. Lo rivelò al suo direttore spirituale Padre Benedetto Nardella in una lettera del 29 marzo 1911: “Il  cuore si sente come attratto da una forza superiore prima di unirsi a lui la mattina in sacramento. Ho tale fame e sete prima di riceverlo, che poco manca che non muoia da d’affanno.  Ed appunto, perché non posso di non unirmi a lui, alle volte con la febbre addosso sono costretto di andarmi a cibare delle sue carni. E questa fame e sete anziché rimanere appagata, dopo che l’ho ricevuto in sacramento, si accresce sempre di più. Allorché poi sono già in possesso di questo sommo bene, allora sì che la piena della dolcezza è proprio grande che poco manca da non dire a Gesù: basta, che non ne posso quasi proprio più. Dimentico quasi di essere al mondo; la mente ed  il cuore non desiderano più nulla e molto tempo alle volte, anche volontariamente non mi viene fatto di desiderare altre cose” (Epistolario I, 217)

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