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80 anni fa nasceva il progetto di Padre Pio di fondare la Casa Sollievo della Sofferenza

Da questa sera ha inizio la mia grande opera terrena. Era il 9 gennaio 1940

Padre Pio pensava continuamente, e realizza una struttura ospedaliera, via via che la sua missione diventava più aperta e solare, dopo gli anni bui delle polemiche, dei provvedimenti restrittivi e della sua persona.

Ne parlava con gli amici che venivano a trovarlo. Ce n’erano alcuni, più assidui e più dinamici, che padre Pio teneva d’occhio. Una sera si ritrovò con uno di loro, Mario Sanvico, di Perugia, dottore di scienze commerciali che dirigevano azienda a Perugia. C’era inoltre il cieco Pietruccio, sempre presente il convento, e forse qualche altro. Erano gli ultimi giorni dell’anno 1939. Quella sera Padre Pio si dilungò a parlare del suo sogno, del quale, del resto, aveva già parlato altre volte. Le sue parole entrarono negli animi, li galvanizzarono. Ci dovette essere un’intesa tra i presenti altri  amici. Qualche sera dopo, e precisamente il 9 gennaio, si riunirono in casa di Sanvico. Era un villino prefabbricato in, in comune tra il dottor Sanvico e il dottor  Guglielmo Sanguinetti, un altro frequentatore di Padre Pio medico condotto nel Mugello. Era sorto lungo la strada del convento, ed era circondato da un appezzamento di terra. Intorno all’abitazione avevano piantato dei cipressi. Una scritta sulla facciata della casa diceva: “Haec est quies mea”. Questa è la mia quiete. Era una delle primissime case della zona ancora del tutto deserto del convento. La riunione aveva uno scopo preciso: costituire un comitato per la fondazione di una clinica secondo le intenzioni di Padre Pio da Pietrelcina. Ma ecco, nel linguaggio scarno del breve diario di Mario Sanvico, come si svolge questa riunione:

Il giorno 9 gennaio 1940 alle ore 16:30 nella casa di Sanvico – Sanguinetti, si sono riuniti i signori: a signorina Ida Seitz,  il dottor Carlo Kisvarday,  il dottor Mario Sanvico, la signora Maria Antonietta Sanvico, la signora Mary Kisvarday  per costruire un comitato per la fondazione di una clinica secondo le intenzioni di Padre Pio da Pietrelcina. I presenti, udito dal dottor Mario Sanvico quanto è nel desiderio del Padre, studiano grossomodo le direttive da prendere: con l’ausilio della Provvidenza divina, il comitato è così costituito:  il fondatore dell’Opera: Padre Pio da Pietrelcina (che momentaneamente desidera non essere nominato); segretario il dottor Mario Sanvico; cassiere contabile, dottor Carlo Kisvarday; tecnico medico il dottor Guglielmo Sanguinetti; direttrice organizzazione interna la signorina Ida Sitz. Si conviene che tutto ciò che dovrà essere attuato dovrà essere sottoposto al consiglio del Padre. Farsi dare dal Padre il motto che dovrà essere la divisa del comitato.

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Subito dopo, Sanvico e che Kisvarday si recarono da Padre Pio nella sua cella, e gli riferirono tutto. Padre Pio disse: “da questa sera ha  inizio la mia grande opera terrena.  Anch’io voglio offrire il mio obolo”. Tirò fuori dalla tasca una monetina d’oro: l’aveva ricevuta quel giorno da un fedele.
Il diario del dottor Sanvico annota ancora in data 11 gennaio: “Il Padre mi ha intrattenuto su come sviluppare l’opera. Penserà per il nome da dare all’opera”. Il 14 sera venne il nome atteso: Casa Sollievo della Sofferenza. Ecco come racconta Sanvico: “Quella sera, alle ore 19 ho domandato al Padre quale nome intende dare all’Opera ed egli  subito mi risponde: Sollievo della Sofferenza”. Era un nome semplice, essenziale. Senza retorica e senza grandezze. Ma programmatico, concreto, con i piedi ben piantati a terra, come, pur guadagnando allo spirito, era Padre Pio .

Benedico voi e tutti coloro che doneranno alla mia opera che sarà sempre più bella e più grande”, aggiunse Padre Pio. Kisvarday e Sanvico si erano inginocchiati. Sembravano parole da manuale, descrizioni oleografiche. Invece sono realtà, semplice e commovente. Padre Pio era ben cosciente che si era davvero agli inizi di qualcosa di concreto.Quegli uomini gli davano affidamento. Non erano più gli incerti, refrattari uomini di qualche anno prima. Ma gente attiva, capace, e  soprattutto piena di fede. Li aveva preparati da tempo, c’è da pensarlo, a quel compito. Individualmente aveva detto lor: “Stai qui”. Avevano obbedito, preparandosi una base per frequentare più assiduamente San Giovanni Rotondo, in attesa di trasferirvisi per sempre.

 

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