Padre Pio durante la quaresima raccomandava ai suoi figli spirituali di esser sobri nel cibo, nell’abbigliamento, nei consumi, nelle comodità; di esercitare un controllo negli sguardi e nelle conversazioni; di dominare gli istinti, le passioni e accettare la sofferenza e offrirla a Dio; di promuovere forme di personale mortificazione e di astinenza.
Il 17 dicembre 1914, alla sua figlia spirituale Raffaelina Cerase, dopo averle suggerito di non mettersi a mensa, senza aver fatto la preghiera, prima di mangiare e di fare lo stesso dopo, scrive: “Nel mangiare guardatevi dalla soverchia ricercatezza dei cibi, sapendo che poco o niente basta, se si vuol dare soddisfazione alla gola. Non prendete mai cibo il piú del bisogno, e procurate in tutto di esser temperante, standovi sommamente a cuore di declinare piuttosto al mancante che al soverchio… Il tutto sia regolato con prudenza, regola di tutte le azioni umane” (Ep. II, 276 ).
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Ma il digiuno, la mortificazione non devono essere fini a se stessi, ma devono aprire alla giustizia, al servizio e alla carità operosa. Nell’uomo bisogna vedere Cristo affamato, assetato, forestiero, carcerato, ignudo, ammalato. Alle opere, appena accennate, Padre. Pio suggeriva che bisognava aggiungere la preghiera intensa e prolungata, la frequenza dei sacramenti e la meditazione della sacra Scrittura, alla quale bisogna avvicinarsi, “innalzando la mente al Signore, supplicandolo che lui stesso faccia da guida alla vostra mente e si degni di parlarvi al cuore e muovere egli stesso la vostra volontà” (Ep. II, 130)
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