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Il digiuno: una delle penitenze di Padre Pio

Padre Pio modello di penitenza

Padre Pio, sull’esempio di Gesù Cristo, ha praticato per tutta la sua vita il digiuno e la penitenza. Quante Quaresime! Quelle in onore di San Michele, della Madonna, di San Francesco… Tutta la sua vita è stata una quaresima. Per i medici, l’argomento, digiuno era sbalorditivo, perché non capivano come Padre Pio si potesse reggere con 200-300 calorie al giorno, nonostante l’intenso lavoro e la perdita costante di sangue dalle stimmate.

Egli mangiava circa 10 grammi di cibo – e solo a pranzo – e la notte dormiva pochi minuti. Tutto questo era condito dalle solite afflizioni fisiche e spirituali, dalle solite lotte col demonio, dalle solite ipertermie misteriose, senza che venissero alterate le funzioni del cervello e del cuore. A proposito del cibo, Padre Pio scrive a Padre  Benedetto Nardella, il 18-3-‘15: “Il soddisfare, carissimo padre, alle necessità della vita, come il mangiare, il bere, il dormire ecc…, mi riescono di tanto peso che non saprei trovare paragone se non nelle pene, che dovettero esperimentare i nostri martiri nell’atto della suprema prova. Padre, non crediate che vi sia in questa similitudine dell’esagerato; no, la cosa sta proprio cosí. Se il Signore, nella sua bontà, non mi toglierà la riflessione, come nel passato, nell’atto che debbo soddisfare a tali azioni, io sento che non potrò durarla a lungo, mi sento mancare il terreno sotto i piedi. Il Signore mi aiuti e mi liberi da tanta angoscia” (Ep. I, 545-546).

Il digiuno, per Padre Pio, oltre che per questa realtà fisiologica, appena descritta, aveva questi scopi: espiare i propri e altrui peccati, correggere le cattive inclinazioni, rafforzare lo spirito, per unirsi più intimamente a Cristo penitente e offrirsi vittima per tutti i fratelli, bisognosi di perdono e di grazie. Esortava, anche i suoi figli spirituali a mortificare “la carne con i vizi e le concupiscenze” (Gal 5, 24). Nella catechesi a Raffaelina Cerase sulla mortificazione, Padre Pio scrive, il 23 ottobre 1914, che è necessaria, perché “tutti i mali provengono dal non aver saputo o dal non aver voluto mortificare, come si doveva, la vostra carne. Se volete guarire, giú alla radice, bisogna dominare, crocifiggere la carne, poiché è dessa la radice di tutti i mali… Vogliamo vivere spiritualmente, cioè mossi e guidati dallo spirito del Signore? Siamo accorti nel mortificare lo spirito proprio, il quale ci gonfia, ci rende impetuosi, ci dissecca” (Ep. II, 204-205).

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E, altrove, alla stessa nobildonna di Foggia, il 17 dicembre 1914, suggerisce: “Nel mangiare guardatevi dalla soverchia ricercatezza dei cibi, sapendo che poco o niente basta, se si vuol dare soddisfazione alla gola. Non prendete mai cibo il piú del bisogno e procurate in tutto di essere temperante, standovi sommamente a cuore di declinare piuttosto al mancante che al soverchio… Il tutto sia regolato con prudenza, regola di tutte le azioni umane” (Ep. II, 276-277). Al nostro maestro di noviziato, Federico Carozza da Macchia Valfortore CB, discepolo del santo Padre Pio dal settembre 1916 al settembre 1918, il frate di Pietrelcina diceva: “Vi ricordo il proverbio indiano: «Chi mangia una volta al giorno è Dio, chi due volte è uomo, chi tre volte è una bestia»”.

Il dominio di sé e l’abnegazione, in senso cristiano, non hanno nulla a che fare con l’odio verso il proprio corpo. Scopo: lo scopo del digiuno è quello di rafforzare la gioia interiore, che si deve manifestare anche esteriormente con la luminosità del volto, perciò Gesú suggerisce nel digiunare di lavarsi il volto e profumarsi il capo, per non banalizzare questo mezzo ascetico (cf Mt 6,16-18). La mortificazione non è scopo, ma solamente mezzo, per allenarsi all’amore verso Dio e il prossimo. Tuttavia, c’è una mortificazione ancora superiore: quella interna, che è abnegazione di sé e della propria volontà, che combatte il nemico principale del cristiano: il proprio orgoglio. Parlando di questa mortificazione superiore, San. Giovanni Paolo II, per l’anno santo del 2000, ci presentò un altro concetto sul vero digiuno. Esso consiste nella “purificazione della memoria”, cioè nell’atto di coraggio e umiltà, compiuto in coscienza, con la chiara intenzione di considerare gli altri superiori a se stessi e di dimenticare le offese ricevute, donando con amore il perdono. È questo un cambiamento interiore, che richiede il digiuno del proprio orgoglio, del proprio io. È questo, soprattutto, il digiuno, che piace al Signore, che genera nel cuore dei credenti, il desiderio ardente di vivere in intima unione con Dio e i fratelli.

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